Chiesa e Monastero di San Biagio

Articolo a cura di Michela Grassi e Chiara Andreozzi. Il complesso di San Biagio si trova nell’attuale via San Biagio, posto al centro della zona più antica della città di Aversa conosciuta come Borgo.
Non conosciamo la data di fondazione del monastero ma è probabile che esso fosse già preesistente alla fondazione della città: dalle fonti infatti, in particolare dal Codice di S. Biagio, conservato presso la Biblioteca Vaticana, sappiamo che il monastero viene citato all’interno di un documento datato 1043; in oltre sappiamo che la Principessa Aloara, (vedova di Pandolfo Capodiferro e madre del principe di Capua e Benevento Ladenolfo), diede il via alla costruzione del monastero di S. Lorenzo ad Septimum in cui si spostarono i monaci benedettini di Capua. Non è da escludere quindi che la stessa Aloara abbia potuto dare avvio anche al monastero femminile di S. Biagio il quale divenne il rifugio delle nobildonne normanne nel periodo di scontri tra Napoli e Capua, tra le badesse viene infatti ricordata una Riccarda sorella del principe Riccardo, Conte di Aversa e Principe di Capua dal 1059. Il monastero rimase quindi segno evidente della presenza benedettina all’interno della città di Aversa ottenendo privilegi e protezione dall’Imperatrice Costanza e da Papa Gregorio IX nel 1227.

Il monastero di S. Biagio era situato originariamente all’esterno della cinta muraria Rainulfiana e solo con le successive espansioni si inserì all’interno del tessuto urbano. Il complesso benedettino, come lo vediamo oggi, prende la sua conformazione durante gli intensi lavori che si svolsero in epoca barocca: infatti in quegli anni il centro storico di Aversa è fortemente condizionato dalle fabbriche religiose, tante da essere sproporzionate rispetto alla popolazione e tanto grandi da essere delle vere e proprie cittadelle.

La chiesa è stata sicuramente rimaneggiata nel 1616 su disegno di Tomasiello de Arco architetto di Napoli cui fu affidata la fabrica del dormitorio eseguita da Donato Iovine ed altri fabbricatori però l’impianto non ha subito sostanziali modifiche, mantenendo aspetti della tradizione culturale longobarda, pur mostrandosi oggi fortemente barocco; va poi segnalata la presenza nel cantiere delle benedettine nel 1718 di Francesco Maggi cui fu affidato la messa in opera del portale in piperno in collaborazione con un architetto napoletano, molto probabilmente Giovan Battista Nauclerio, architetto di fiducia dell’ordine benedettino in quegli anni e presente proprio ad Aversa nel cantiere di San Biagio dove realizza nel 1737 alcuni lavori al dormitorio delle benedettine.

La facciata si presenta oggi infatti estremamente semplice e lineare quasi spoglia, scandita da tre archi a tutto sesto sostenuti da un triplo ordine di lesene. I tre portali sono sormontati da decorazioni in stucco: due tondi contenenti i santi benedettini San Benedetto e San Mauro (secondo Parente San Placidio) sui laterali e sul portale centrale un timpano con decorazioni floreali a stucco, mentre sulla sinistra si apre una porta che conduce all’interno del monastero.

Prima di accedere alla chiesa troviamo un pronao di raccordo in piperno costituito da ampi pilastri e volte a botte; la chiesa è molto ampia ed elegante, a base longitudinale, a croce romana con sei cappelle per lato a cui segue la zona del transetto.

Sul piano architettonico, l’interno è ripartito in due parti: nella parte bassa della parete troviamo un ordine gigante di paraste con capitello composito che regge la lunga trabeazione a fascia concatenato con un ordine minore di archi a tutto sesto e scanditi da stucchi raffiguranti dei cherubini di pregevole qualità. Al di sopra della trabeazione, nella parte alta dell’edificio troviamo grandi finestroni di forma rettangolare alternati a tele della vita di San Benedetto firmate da Pietro di Martino, allievo di Luca Giordano, datate 1701 (Da de­stra verso sinistra: San Benedetto tra le spine, San Benedetto e il corvo; San Benedetto e i pastori al sacro Speco di Subiaco; la Nu­trice di San Benedetto e il setaccio rotto; il Miracolo della roncola, il Miracolo del serpe sotto la pietra, Abbraccio tra San Benedetto e Totila; San Benedetto punisce il servo infedele, Conversione del re Totila, San Benedetto risuscita il figlio del contadino, San Bene­detto profetizza a Totila la sua morte, San Benedetto e il re Totila.)

Nella controfacciata troviamo cinque dipinti sempre di scuola Giordanesca, attribuiti a Giovanni Battista Lama incentrati su santi benedettini (San Filippo che battezza l’eunuco della regina Candace; Santa Caterina d’Alessan­dria, San Benedetto da Norcia e Santa Scolastica, Santa Dorotea, Sant’Ambrogio e l’imperatore Teodosio che chiede il perdono) ; mentre nelle cappelle laterali troviamo, oltre agli altari in marmi policromi datati 1757, un ricco corredo pittorico.

Procedendo in ordine: nella prima cappella a sinistra, sull’altare, troviamo la Pentecoste, tavola ancora di gusto manierista tardo cinquecentesco attribuibile alla scuola di Marco Pino da Siena.

Nella seconda cappella troviamo la Madonna del Rosario con i Santi Giovanni e Luca, quadro datato 1623, attribuito ad un manierista napoletano, seguace di Giovan Bernardo Lama e Girolamo Imparato.

Nella terza cappella vi è una Sepoltura di Cristo con la Madonna e i Santi Biagio e Giovanni Evangelista, pregevole opera della seconda metà del secolo XVI che ricorda i modi del pittore fiammingo Teo­doro d’Errico, attivo a Napoli in quel periodo e responsabile della decorazione del soffitto cassettonato di un altro importante tempio benedettino, quello di San Gregorio Armeno a Napoli.

La quarta cappella, particolarmente ricca di decorazioni in marmi policromi e stucchi, è dedicata a San Biagio, il Santo è raffigurato in una scultura lignea di impronta cinquecentesca posta sull’altare, e nelle tavole, raffiguranti scene della sua vita: il Miracolo del bam­bino, la Flagellazione, la Scorticazione; la Decollazione; il Santo in gloria.

La cappella successiva è dedicata ai Santi Mauro e Placido e vi si trova un San Mauro che benedice gli storpi, opera di Giovan Batti­sta Lama.

Nell’ultima cappella a sinistra è un bellissimo San Benedetto, raffi­gurato con il corvo, suo tradizionale attributo, sullo sfondo vediamo la pre­stigiosa abbazia benedettina di Montecassino, mentre in primo piano vi è il ritratto di una monaca, probabilmente la committente del quadro. L’opera è attribuibile all’ambiente tardo manierista napoletano, a cavallo tra il Cinquecento e il Sei­cento.

Nel transetto, ripartito da un alto arco a tutto sesto decorato da stucchi in oro che immette alla zona dell’altare, troviamo sul lato sinistro, una portella raffigurante San Giacomo Apostolo, attribuita ad un ignoto seguace di France­sco De Mura, secolo XVIII.

La zona del presbiterio, delimitato da una balaustra, è coperta da una cupola affrescata in cui purtroppo non si riconoscono i temi e l’altare marmoreo di ascendenza vanvitelliana è sormontato dalla pala d’altare del Martirio di San Biagio, circondato da una grande cornice e coperto da un imponente baldacchino in legno dorato, anche questo settecentesco. La pala appartiene sicuramente all’ambiente manierista napoletano e veniva attribuita dal Parente a Marco Pino da Siena, anche se studi successivi la attribuiscono a Giovan Battista Graziano.

Sul lato destro della chiesa invece, dove troviamo nella sesta L’Assunzione di Maria con i Santi Secondino e Filippo Neri un’opera firmata da Andrea Vaccaro, pittore seicentesco napoletano, allievo di Giro­lamo Imparato.

La quinta cappella è occupata dall’organo più volte restaurato, de­corato da intagli lignei del secolo XVIII.

Nella quarta cap­pella, insieme ad una scultura devozionale di epoca contempora­nea, vi è un bel Crocefisso ligneo, dipinto di bianco, opera della fine del secolo XVII.

La terza cappella è dedicata alla Natività e sull’altare troveremo l’Adorazione dei Pastori, dipinta da Andrea Starace, un seguace del Solimena, e datata 1767.

Nella seconda cappella è un bel dipinto di un seguace caravaggesco raffigurante San Pietro liberato dal carcere, di uno stile vicino a quello di Alonso Rodriguez.

Nella prima ed ultima cappella troviamo infine una Adorazione dèi Magi, lavoro del secolo XVI recentemente attribuito alla scuola di Marco Pino.

Il tutto, come ci dicono le fonti, era sormontato da un «soffitto in legno dorato ricco di dipinti», andato distrutto nel 1943 a causa del secondo conflitto mondiale. La restaurazione della fabbrica fu spinta dalla Badessa Parisi tra il 1952 e il 1986 e attualmente il soffitto si presenta in muratura bianca a cassoni con dettagli in stucco dorato.

GALLERA FOTOGRAFICA DELLA VISITA GUIDATA ORGANIZZATA DA AVERSATURISMO

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