Il Monastero e la Chiesa di Montevergine

Articolo tratto da Osservatorio Cittadino. Appare incerto l’anno della fondazione del monastero di Montevergine, ormai demolito ed un tempo ubicato in via Vittorio Emanuele III ad Aversa.  Secondo fonti accreditate è possibile farlo risalire al 1314, ad opera del Sign. Bartolomeo di Capua, già benefattore de’ Monaci di Montevergine Maggiore di Napoli.

Già prima della sua fondazione Montevergine vantava  alcuni possedimenti  in Aversa risalenti a circa due secoli antecedenti, come Il Mongelli ricorda:

“…nella Bolla di Celestino III che risale al 1197, si parla solo di possedimenti che Montevergine aveva in Aversa, e in quella di Innocenzo III si fa parola di possedimenti e di case, insieme con vassalli (…)  gli interessi economici di Montevergine (…) cominciarono a stabilirsi ben per tempo. (…) Nel 1192 troviamo testimonianze sul testamento di Roberto de Teano, nobile di Aversa, il quale lasciò al monastero una casa con corte e presa “ .

Una prima data certa è riconducibile a quella che testimonia la presenza di un Priore del monastero, chiamato fra’ Pietro da Scafati, e risale al 28 novembre 1375 ma è necessario arrivare al 1517 per conoscere il nome di un altro priore della struttura: fra’ Marco da Sanseverino. Una descrizione risalente al 1594 fornisce informazioni riguardo alle caratteristiche del monastero: edificato all’interno della città, con una chiesa comoda ma povera in decorazioni, e  ampliato con cortile e giardino.

Nel 1559, ad opera del priore Tullio Simeone, furono eseguite importanti riparazioni, considerando la notevole spesa di 1500 ducati per l’occasione.
In seguito alle visite del commissario apostolico S. Giovanni Leonardi nel 1599 e nel 1600, al monastero fu restituita la dignità di priorato,  precedentemente persa  per un breve periodo, “tanto più che esso era stimato uno dei più adatti e vi furono aggregate le case di Teano e di Mondragone”.  Fu emesso decreto grazie al quale furono portati a termine i lavori per la costruzione delle celle superiori al dormitorio, fu decisa la sistemazione del refettorio e costituita una dispensa.

Nel 1611 il monastero fu elevato ad abbazia, in seguito al Breve di Paolo V del 19 maggio 1611, ed ebbe come primo abate Giovanni Battista Chiara.

Nel 1636 fu oggetto di ulteriori ampliamenti su disegno di un architetto converso domenicano di nome F. Domenico (Parente) e nel 1656 importanti lavori di pitture e stucchi riguardarono soprattutto la chiesa. “L’ex abate generale, Angelo Brancia, che resse il monastero dal 1674 fino alla sua morte avvenuta nel luglio 1694, si dedicò ai lavori per il monastero, dando inizio alla fabbrica delle celle nel corridoio del settore più vecchio, facendo costruire man mano la scalinata, il quarto nuovo e il corridoio o professorio per gli studenti. Ecco perché il 20 dicembre 1682 troviamo che si parla di «fabbrica nuova» “(G. Mongelli).

Dopo la soppressione del 1807 “vi si ragunò qualche tempo una loggia masonica;  e nel 1812 l’officina del pannaggio militare” (Parente).
La struttura monastica, adibita a magazzino di viveri e foraggi per le truppe militari, fu concessa nel 1821 al morotrofio, quale sede-succursale della Maddalena e  destinata ad accogliere il manicomio femminile.

 Nel 1960 i locali furono venduti ad un privato e trasformati in un condominio residenziale.  Nel 1985 fu sacrificata un’ala dell’adiacente complesso di Montevergine per la costruzione della sede Poste e Telecomunicazioni.
Nel 1999 la struttura conventuale, che ancora conservava testimonianze medievali, è stata demolita completamente e sulla sua superficie è stato costruito un fabbricato, ignorando il vincolo imposto dalla legge 1089 del 1939 sulla salvaguardia dei beni artistici.

Unica  testimonianza  ancora visibile dell’antico monasteroMontevergine di Montevergine è una parte della chiesa, mutilata, con la facciata inglobata nelle strutture in cemento armato del nuovo edificio. Non essendo possibile accedere all’interno è possibile delinearne  le parti visibili e registrarne lo stato di abbandono e degrado : le coperture in parte crollate, l’interno invaso da erbacce,  le lesioni della parete absidale e di quella perimetrale (lungo via Vittorio Emanuele III), su cui si aprono ampi finestroni rettangolari  riquadrati e oculi,   e la  cupola costolonata, impostata su un alto tamburo con finestroni ciechi,  priva di lanterna.

Con la demolizione sono andate perdute “pitture eccellenti (…) per le facce interne delle mura” tra cui la “Cena di N. S. fatta agli apostoli”, un quadro raffigurante la Madonna di Montevergine “con molti angeli, fra’ quali sono quei due, assai graziosi, accanto al seggiolone della Vergine. Tavola antica intorno al 400 di non di spregevole pennello, giudicata di Alessandro Martucci” (Parente) e trasferita, secondo il Parente, nella cappella di Succurre Miseris.  Altri due dipinti raffiguravano S. Guglielmo e Giovanni Evangelista.
L’iter storico e le vicende di abbandono e addirittura demolizione dell’ennesima testimonianza artistica ed architettonica aversana confermano, ancora una volta, una inesistente attenzione delle istituzioni e dei cittadini verso il patrimonio culturale della città che, anziché preservarli, seppellisce i propri tesori sotto cumuli di sterile cemento armato.

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